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FUORI delle RIGHE

amore

Costituiti nell’amore - Gv 13,31 -33a.34-35

Dal Vangelo secondo Giovanni
Quando [Giuda] fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».


un comandamento nuovo

La Parola che il Signore consegna in quella cena ai suoi discepoli e a tutti noi non è una regola da seguire, o una norma tra le altre, o un bel precetto; Gesù comunica qualcosa di più profondo, ciò che ha ricevuto dal Padre: che il suo comandamento è vita eterna (Gv 12,50). La parola comandamento (entolê) non ci deve trarre nell’inganno di un ambito legislativo, piuttosto nella missione che il Padre ha affidato al Figlio (Gv 10,18) in una relazione di amore: io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco (Gv 14,31). Questa relazione di amore tra il Padre e il Figlio ci coinvolge in pieno: se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore (Gv 15,10).
Con insistenza - ben cinque volte - Gesù aveva parlato della sua glorificazione. Non quella che si manifesterà nella croce e nella resurrezione ma di quella che già si era manifestata nel suo amore incondizionato verso tutti: li amò fino alla fine (Gv13,1), aveva sottolineato l’evangelista poco prima che, cinto di un grembiule, si fosse chinato a lavare i piedi. Giuda era uscito dal cenacolo dopo aver ricevuto nel boccone preparato il segno di un amore senza limiti e senza speranza. Da questo amore scaturisce il comandamento nuovo.
Gesù non ci consegna soltanto una Parola da seguire quanto la sua stessa vita come sostegno alla Parola che ci affida perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro (Gv 17,26). L’Amore è segno perenne della sua presenza.


che vi amiate gli uni gli altri

Non è una novità la legge dell’amore, amerai il prossimo tuo come te stesso (Lv 19,18) era un comandamento antico, scritto nella legge di Mosè e i Sinottici lo citano come tale. Antico nella lettera, ma nuovo della novità stessa del vangelo: Carissimi, non vi scrivo un nuovo comandamento, ma un comandamento antico, che avete ricevuto da principio. Il comandamento antico è la Parola che avete udito (1Gv 2,7).
I comandamenti sono la Parola che Dio dona agli uomini insieme all’invito a fare una scelta (cfr Dt 30,16). Può sembrare un paradosso, eppure i comandamenti di Dio affermano la nostra libertà.
Gesù ai discepoli parla di un solo comandamento, e questo è già una novità, non riguarda il comportamento, ma l’essenza stessa della vita umana: l’amore.
L’amore (l’Agàpē) è indicato come struttura portante – e questa è un’altra novità - della Comunità dei Discepoli, della Chiesa che così può testimoniare il volto di Dio, perché Dio è amore (1Gv 4,8).
L’amore è il segno di riconoscibilità della Chiesa, prima di tutto per se stessa. Rendere visibile questo amore rende riconoscibile e credibile Dio che agisce nella Chiesa e con la Chiesa.
Gesù non chiede nulla per sé o per il Padre, ma solo per gli uomini (cfr Mi 25,31-45).
Ma attenzione noi siamo inguaribilmente malati di romanticismo: per noi, l'amore è un sentimento; per Gesù e per tutta la Bibbia, l'amore è un'azione. Amare il nemico vuol dire andare contro il sentimento e fargli del bene; anzi, prima dell'azione esterna, c'è un'azione interiore che la precede, lo sforzo di guardare all'altro come a un uomo, riconoscendogli la mia stessa dignità, togliendo tutte le etichette che lo renderebbero un estraneo. C'è dunque una fatica, nell'amore (Giuseppe Dossetti).


Come io ho amato voi

È un comandamento nuovo perché si fonda sulla comunione con il Cristo. Prima ancora di essere “legge” l’amore è “grazia”: gratuità e libertà di Dio, del Cristo suo Figlio e di coloro che gli sono discepoli.
Gesù si dona ai suoi discepoli – e questa è una novità assoluta – come misura dell’amore.
In un mondo fatto di egoismo l'amore per se stessi, dato come misura nell’AT e nei sinottici, è scontato; oggi si manifesta nella cura della persona, la scelta del vestiario, la palestra, il divertimento, la soddisfazione di appetiti superficiali, manifestiamo così la debolezza, l’inadeguatezza della capacità umana di amare.
In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi (1Gv4,10). È l’amore di Dio, e non il nostro, che siamo chiamati a vivere, come scopo di vita, come progetto, come sguardo sul futuro, come speranza.